In
Italia la pasta secca è tradizionalmente, ed ora
anche per legge, confezionata con il prodotto della macinazione
del grano duro (Triiticum durum), appunto la semola
Mentre l'altra importante specie di frumento, cioè
il grano tenero (Triticum vulgare)viene usato per la farina,
quindi per la confezione casalinga della pasta all'uovo,
del pane ecc Morfologicamente i due tipi di grano non
presentano differenze clamorose: il chicco di grano duro
è leggermente più oblungo e d'aspetto quasi
traslucido, mentre il chicco di grano tenero è
opaco e tondeggiante
IL primo cresce nei terreni assolati e rudi del Sud Italia,
quello tenero preferisce il clima più umido e tranquillo
della Pianura Padana. Ecco quindi, per inciso, l'origine
della differenza dei consumi tra pasta secca al Sud e
pasta all'uovo al Nord
Dai
tempi di Vitruvio fino a quasi tutto il Settecento i molini
rimasero pressoché identici
Una macina in forma di ruota Era posta di piatto sul terreno
e restava immobile, perciò detta la dormiente,
su di essa ruotava un'altra macina identica, sempre posta
di piatto, ma forata al centro, la girante
Al centro si versava il grano e alla periferia si raccoglieva
il prodotto della macinazione
La cosiddetta gramola era poi la macchina più caratteristica
ed importante del pastificio, fino all'introduzione delle
presse continue. Essa era costituita da una vasca rotonda
di legno e da una mola di pietra posta in senso verticale
e originariamente fatta ruotare a forza di braccia. Nel
bacile veniva disposta la semola a ponticello, si scavava
un piccolo cratere e vi si versava acqua tiepida. L'impasto
iniziava con le mani finchè la semola era sufficientemente
intrisa d'acqua, poi proseguiva con la mola, ruotata a
mezzo di una stanga, camminando intorno al bacile. Questo
procedimento era in uso soprattutto a Genova, aveva però
il difetto, nel caso del grano duro, di stritolare i chicchi
sotto il peso della mola, i quali perdevano così
buona parte della loro naturale vetrosità, dando
un impasto un po' troppo elastico e poco resistente
A Napoli invece, la semola, posta in vasche di pietra
ad imbibita con acqua bollente era dapprima impastata
a forza di piedi
Si proseguiva poi con la gramolazione: la massa, trasferita
in un bacile, era percossa da un lungo asse di legno fissato
ad un lato, mentre all'altra estremità sedevano
tre operai che, alzandosi e sedendosi, secondo tempi ritmati
dal canto, facevano premere la stanga sull'impasto
In questo modo si saldavano l'un l'altro i granelli di
semola senza peraltro intaccarne il nucleo, dando quell'impasto
granulare che era il segreto della brillantezza e della
superiorità qualitativa dei maccheroni di Napoli
Ottenuto in un modo o nell'altro l'impasto, questo veniva
prelevato a piccole quantità, introdotto nel torchio
e pressato contro la trafila, disco generalmente di bronzo,
bucherellato in vario modo, a seconda del formato di pasta
desiderato, attraverso cui l'impasto è forzato
ad uscire
L'aumento
del consumo, e conseguentemente della produzione, fu La
molla che fece scattare le maggiori innovazioni nei macchinari.
Verso la fine dell'Ottocento furono introdotte le prime
impastatrici meccaniche che sostituiscono il calpestio
degli operai
I vecchi torchi cominciarono ad essere sostituiti con
le presse idrauliche, dove il composto era spinto contro
la trafila non più da una vite fatta girare a mano,
ma da un pistone azionato appunto idraulicamente
Benché ciò risparmiasse tanta fatica all'uomo
non si era ancora risolto il problema delle interruzioni
di lavoro:
una volta pressato l'impasto e perciò giunto a
fine corsa il pistone, questo doveva essere riportato
indietro per poter caricare nuovamente la macchina
Ma nel 1917 F.Sandragné, ispirandosi alla lavorazione
dei mattoni, costruì il prototipo di una macchina
in cui il pistone era sostituito da una vite senza fine
che lavorava all'interno dell'impasto prelevandolo e pressandolo
continuamente contro la trafila, senza più interruzioni
Ma occorre arrivare al 1930 per assistere alla vera rivoluzione,
l'introduzione della pressa continua che permette di impastare,
gramolare e pressare la pasta contro la trafila senza
interrompere il ciclo di lavorazione
Fu
però solo con l'avvento dell'essicazione artificiale
che la produzione di pasta poté valicare i confini
artigianali e diventare un prodotto industriale, realizzabile
in tutta Italia
Infatti prima d'allora, gli spaghetti appena estrusi venivano
raccolti, appesi a lunghi bastoni di legno ed esposti
ad asciugare all'aria e al sole; in poche parole erano
affidati alla clemenza del tempo e all'intuito di espertissimi
operai che dovevano esporre o ritirare la pasta, in base
alle variazioni del tempo e dell'umidità, finché
risultava perfettamente secca
E' quindi evidente come fossero favoriti quei pastifici
localizzati in zone climaticamente felici
Con le moderne celle di essiccazione il problema non si
pone più
Gramola,
il torchi e le prime impastatrici sono ormai oggetti da
museo
In un moderno pastificio ciò che colpisce, oltre
l'asetticità degli enormi ambienti, ingombri solo
di pochi grandiosi macchinari, è la quasi totale
assenza di personale. Solo poche persone in camice bianco
si aggirano come medici nelle corsie di un ospedale, con
il compito di controllare che tutto proceda bene
Dal chicco allo spaghetto, tutte le trasformazioni sono
automatizzate e non necessitano di alcun intervento umano
Proveniente
dal mulino dove il grano è stato macinato, la semola
giunge nel pastificio vero e proprio, qui inizia la fase
di idratazione con acqua (la percentuale varia dal 30
al 35%), mentre l'impasto, cioè la gramolazione,
avviene sotto vuoto per ottenere un composto deaerato,
più resistente e privo di bolle d'aria, perciò
più compatto e trasparente, ma soprattutto di un
colore più brillante
A questo punto il composto, una massa colloidale giallo
ambrata, viene spinto, sempre all'interno della stessa
macchina, verso le lunghe trafile che, dall'originaria
forma a disco sono passate a quella di lastre rettangolari
lunghe e strette, di qui escono finalmente gli spaghetti
Lunghi fili di pasta che, a metà della loro lunghezza
sono raccolti dalle canne, gli antichi bastoni,di legno,
sulle quali si appoggiano; prosegue intanto l'estrusione
dell'altra metà della lunghezza totale degli spaghetti
(circa 2mt.)
Infine un taglio netto interrompe il filo, per riprendere
all'istante con la fuoriuscita di altri spaghetti che
saranno raccolti da altre canne e così via
Ed è emozionante: migliaia di spaghetti ancora
morbidi e caldi svolazzano appesi alle stecche, trasportati
lentamente verso l'enorme cella di essiccazione
Qui, dopo varie interruzioni, per permettere anche alla
parte centrale più interna di liberare il proprio
contenuto di umidità, essi sosteranno per circa
8 ore, fino a ridurre il tasso totale di umidità
intorno a valori inferiori al 12,5% (massima umidità
consentita dalla legge)
Il processo di essiccazione, oltre a permettere un'elevata
conservabilità ha come scopo quello di stabilizzare
la qualità della materia prima, esaltandone i valori
organolettici e realizzando uno stato di equilibrio tra
amido e glutine (vedremo più avanti il significato
di queste due parole) al fine di ottimizzare la qualità
e la tenuta in cottura
Così
gli spaghetti, che abbiamo visto entrare nell'essiccatoio
teneri e oscillanti al pur lento movimento delle canne,
ne escono secchi e dritti... come fusi
Passano poi attraverso le taglierine che li ridurranno
della misura consueta
L'ultima fase consiste nella confezione e nell'imballaggio.
Il principio è ovviamente identico per gli altri
formati di pasta
|
Una
storia lunga 3000 anni
L'origine della pasta è antichissima: la si fa risalire
addirittura agli Etruschi, che avrebbero preparato le prime
lasagne di farro (un cereale simile al frumento, ma ben
più resistente alle intemperie e alle malattie)
In seguito i Romani usavano produrre un semplicissimo impasto
di farina e acqua, da cui ricavavano una specie di lasagne,
chiamate lagane, termine che viene usato ancora oggi nel
Centro e nel Sud d'Italia per indicare alcuni tipi di pasta
È comunque da sfatare la leggenda che la Pasta sia
stata introdotta in Italia da Marco Polo al suo ritorno
dalla Cina. Infatti, nel 1279, quando il grande esploratore
veneziano era ancora in Oriente, a Genova fu redatto un
testamento in cui un tal Ponzio Bastone lasciava in eredità
una cassa piena di ... maccheroni!
Di certo sappiamo che gli Arabi già nell'XI secolo
portarono la Pasta per tutto il bacino del Mediterraneo,
ma solo in Italia essa si diffuse in modo eccezionale
Nel XVII secolo, poi, a Napoli, la Pasta incontrò
il pomodoro, arrivato in Europa con la scoperta dell'America
Fu questa una vera rivoluzione gastronomica, in quanto questo
nuovo accostamento fece rapidamente (e felicemente) dimenticare
le combinazioni agro-dolce e dolce-salato fino ad allora
di gran moda
Però la Pasta non entrò subito nelle mense
principesche, poichè veniva ancora mangiata con le
mani. Fu attorno al 1700 che un ciambellano di corte di
Re Ferdinando II, tal Gennaro Spadaccini, ebbe la geniale
idea di utilizzare una forchetta con 4 punte corte, poi
diventata di uso comune. Da allora la Pasta fu servita anche
nei pranzi delle corti di tutt'Italia e di là iniziò
il suo giro del mondo
Anche il presidente USA Thomas Jefferson (1743-1826) impazziva
per la Pasta e la introdusse (o meglio, la fece conoscere)
negli Stati Uniti Erano famosi i suoi pranzi in cui faceva
servire agli ospiti le specialità gastronomiche che
aveva incontrato ed apprezzato durante i suoi viaggi in
Europa
Successivamente, agli inizi del secolo scorso, a Napoli
nacquero i primi, rudimentali macchinari per la sua produzione
industriale
Perché nacquero proprio a Napoli?
Dato che il processo di essiccamento della Pasta rappresenta
il momento della verità per poter ottenere un prodotto
di ottima qualità, la zona di Napoli e tutto il suo
entroterra, favoriti da condizioni climatiche eccezionali,
offrivano l'ambiente ideale per questa produzione
Oggi che le moderne tecnologie permettono di standardizzare
i processi produttivi e di sopperire artificialmente alle
condizioni climatiche ideali, la produzione della Pasta
si è diffusa in moltissimi Paesi
Questa diffusione globale fa sì che la Pasta sia
il piatto italiano più conosciuto al mondGià
Cicerone e Orazio, 100 anni prima di Cristo, sono ghiotti
di làgana (termine che deriva dal greco laganoz da
cui il latino làganum che designava una schiacciata
di farina, senza lievito, cotta in acqua, la forma plurale
làgana indica strisce di pasta sottile fatte in farina
e acqua, da cui derivano le nostre lasagne)
Ma fu Apicio a lasciarci la prima vera documentazione sull'esistenza
di un composto assai simile alla nostra pasta; nel suo "De
re coquinaria libri" infatti egli descrive un timballo
racchiuso entro làgana. Dal 200 d.C. fino almeno
all'anno mille non abbiamo più notizie documentate.
Si pensa che la Pasta, intesa non già come composto
generico, ma proprio come maccheroni, sia originaria della
Sicilia: nella località di Trabìa, presso
Palermo, si fabbricava un particolare cibo di farina in
forma di fili, chiamato con il vocabolo arabo "itriyah".
Ed ancor oggi a Palermo si conoscono i vermicelli di Tria.
Che siano anche gli spaghetti un'invenzione araba? Il fatto
che in arabo esistesse il termine per designare questo cibo
in forma di fili ce lo lascia supporre, ma nessun documento
ce lo conferma
Il termine maccheroni non ha un'etimologia precisa
Spesso usato inizialmente per designare paste variamente
ripiene, sul modello dei nostri ravioli, troviamo poi il
vocabolo macaronis impiegato per indicare piccoli gnocchetti
di semola (1279, documento del notaio Ugolino Scarpa), del
tipo dei "malloreddus" sardi
Il filologo Agnolo Morosini (circa 1400), ricercando sulle
probabili origini della parola ci riconduce a due possibili
etimologie: al basso greco macaria, che indicava un impasto
di orzo e brodo, oppure al greco classico macar cioè
felice, beato e quindi cibo dei beati
Fino al Settecento esiste comunque una gran confusione;
i tipi diversi di pasta vengono etichettati normalmente
come maccheroni finché, i napoletani, divenuti mangia
maccheroni, si appropriano del termine e lo usano quasi
esclusivamente per identificare paste lunghe trafilate:
ormai i maccheroni rientrano nell'alimentazione pressoché
quotidiana del popolo, intesi come cibo semplice, povero,
ma soprattutto nutriente e veloce, quasi un fast-food ante
litteram
Intorno agli inizi dell'Ottocento le prime fotografie mostrano
i maccheronari agli angoli delle strade intenti a cuocere
in enormi pentoloni la vivanda e a servirla, appena cosparsa
di formaggio grattugiato ed insaporita di pepe, ai viandanti
che mangiano davanti al banco senz'altro ausilio che le
mani
Da questo momento in poi i maccheroni intesi come pasta
lunga, tonda e piena, cominceranno ad essere chiamati spaghetti
e ad identificare non più soltanto i napoletani,
ma tutto il popolo italiano |